Come il mito della meritocrazia ci schiavizza in un sistema disumanizzante votato al profitto

Meritocrazia tra mito e catene

Non giriamoci intorno: viviamo in un sistema socio-economico che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Guardando questo processo, mi chiedo perché la gente non si ribelli, ma anzi continui a giustificare ogni ingiustizia che ci passa sotto gli occhi ogni giorno. È un tema su cui rifletto da molti anni, e le risposte non sono mai semplici o univoche. Oggi, però, vorrei portare alla vostra attenzione una questione che trovo particolarmente interessante: il "mito della meritocrazia". Questo mito ci induce a pensare che la nostra situazione sia il risultato di ciò che meritiamo, che i ricchi siano ricchi perché migliori.

Questa narrazione, silenziosa ma potente, tiene in piedi il sistema. La maggior parte delle persone ammira figure come Elon Musk o Mark Zuckerberg, trasformandoli in feticci che compensano le proprie carenze. In una società che ha sostituito il sacro con il profitto, chi detiene capitali si tinge di un’aura divina. Guardatevi attorno: oggi i palazzi più sfarzosi non sono templi o cattedrali, ma sedi di banche, gruppi finanziari e aziende di successo. Abbiamo sostituito Dio con il Denaro, mitizzando la ricerca della ricchezza e scambiando il nostro tempo – la nostra vita – per denaro. A questa divinità dedichiamo i migliori monumenti, i palazzi più sontuosi.

Le automobili sono state a lungo il nostro status symbol, e le concessionarie sembrano veri e propri luoghi di culto, con vestali e sacerdoti pronti a celebrare il rito dell’acquisto. Ma tutto questo ha un prezzo enorme: non solo in termini ambientali, che non approfondirò qui, ma soprattutto in termini umani. Il progresso, invece di liberarci dal lavoro e dalla sofferenza, ci ha reso strumenti delle intenzioni altrui. Ci ha disumanizzati. E una società disumanizzata tratta tutto ciò che la circonda come oggetti. Oggetti da usare, da sfruttare o da eliminare se ostacolano la propria ascesa.

Inoltre, cerchiamo di cancellare tutto ciò che ci ricorda la nostra condizione precedente. La povertà ci rammenta le nostre origini, il nostro presunto fallimento, e ci svela che siamo vittime di un'illusione dalla quale non vogliamo svegliarci. Siamo come un alcolizzato che nega il suo stato, che dissimula la propria dipendenza. Siamo intossicati da un sogno irrealizzabile che ci sta conducendo verso il baratro. E siamo così inebriati da arrivare a criminalizzare, come dimostra l'ultimo DDL Sicurezza, le nuove generazioni che protestano per una crisi climatica che ci sta colpendo più di qualsiasi guerra. Se non ci svegliamo presto, rischiamo di condannarci all'estinzione.

Ma ha davvero senso parlare di meritocrazia? A mio avviso, avrebbe senso se tutti partissimo dalle stesse condizioni o da condizioni simili. Ma sappiamo bene che non è così. Viviamo in un mondo in cui persone con enormi ricchezze e famiglie influenti gareggiano con ragazzi nati in periferie povere, magari con famiglie problematiche. Pensiamo davvero che queste persone possano competere alla pari? È come una gara sui cento metri in cui alcuni partono dalla linea di partenza, altri a pochi metri dal traguardo, e altri ancora sono ancora nello spogliatoio. Non esiste meritocrazia in una società che non offre a tutti le stesse opportunità di competere. Sempre che abbia senso strutturare una società sulla competizione, ma questo è un argomento che affronteremo in un altro articolo.

Nel tempo ho approfondito alcuni studi sociologici ed economici che criticano la meritocrazia, considerandola un "falso abbaglio" o una narrativa ingannevole. In sintesi, queste ricerche sostengono che il concetto di meritocrazia non riflette la realtà dei sistemi economici e sociali contemporanei. Ecco alcune delle principali argomentazioni su questo tema:

  1. Disuguaglianza strutturale
    Alcuni studiosi sostengono che la meritocrazia ignora le profonde disuguaglianze di partenza, legate a fattori come il background socio-economico, il genere, la razza e l’istruzione. In un contesto in cui l'accesso alle opportunità è già diseguale, parlare di meritocrazia diventa fuorviante.

    Michael Young, autore di "The Rise of the Meritocracy", coniò il termine nel 1958 in maniera ironica. Young avvertiva che l'enfasi sul merito avrebbe portato a una classe dirigente isolata e alienata dalle classi sociali inferiori. Oggi, le sue previsioni sembrano avverarsi: invece di livellare il campo di gioco, la meritocrazia ha accentuato le disuguaglianze.

  2. La falsa neutralità del merito
    Studi recenti mostrano come il "merito" sia spesso un concetto soggettivo. Gli standard con cui si misura il merito, come le performance accademiche o lavorative, sono influenzati da contesti sociali, culturali e ambientali. Di fatto, il merito favorisce chi già proviene da contesti privilegiati.

    Pierre Bourdieu, sociologo francese, ha esplorato il concetto di capitale culturale, spiegando come le persone con background privilegiati siano avvantaggiate nel sistema educativo, che premia chi possiede già risorse culturali o sociali.

  3. Meritocrazia e neoliberismo
    Altri studiosi sottolineano che la meritocrazia è spesso utilizzata per giustificare le disuguaglianze economiche. In un contesto neoliberista, si sostiene che i ricchi sono tali perché lo meritano, e i poveri perché non si sono impegnati abbastanza.

    Daniel Markovits, nel suo libro "The Meritocracy Trap", esplora come il sistema meritocratico sia diventato una trappola per la società moderna. Anziché livellare le disuguaglianze, la meritocrazia crea nuove élite che escludono chi non ha le stesse risorse.

  4. Il mito della mobilità sociale
    Studi empirici, come quelli di Chetty et al., dimostrano che la mobilità sociale è in declino in molte economie avanzate. L'idea che chiunque, con il duro lavoro, possa migliorare la propria condizione è sempre meno veritiera, dato che la scalata sociale è fortemente influenzata dalla ricchezza familiare e dalle reti sociali.

  5. Effetti psicologici
    La meritocrazia ha anche effetti psicologici negativi. Vivere in una società che ci fa credere che tutto dipenda dal merito può spingere le persone a incolpare se stesse quando non raggiungono il successo. Questo genera stress e frustrazione, specialmente in ambienti competitivi come il mercato del lavoro o l'istruzione.

Insomma, posso serenamente concludere che parlare di meritocrazia oggi sia un'illusione. Non è altro che un meccanismo di automanipolazione, che si rafforza in una società dove siamo sempre più isolati, concentrati solo sul nostro successo personale o sui nostri problemi. Questo isolamento chiude la nostra coscienza in un loop che ci intrappola in prigioni mentali. Dobbiamo cercare di rompere queste prigioni e aspirare a quello che io chiamo Buon Vivere, per rifondare un Nuovo Umanesimo Ecologista.

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