Maurizio Pallante solleva questioni cruciali sul perché il movimento ecologista fatichi ad acquisire consenso politico. Mette in evidenza come la frammentazione interna e l'incapacità di proporre soluzioni praticabili abbiano contribuito a rendere il messaggio ambientalista debole e divisivo. Tuttavia, per affrontare pienamente queste criticità, è necessario integrare una visione che includa l’urgenza della crisi climatica, il potere manipolativo delle lobby dei combustibili fossili e l'importanza di costruire un nuovo paradigma culturale basato sul "Buon Vivere" e sulla "via della sobrietà." Questi principi possono contribuire alla creazione di un Nuovo Umanesimo Ecologista capace di rispondere alla crisi climatica e sociale del nostro tempo.
L'urgenza della Crisi Climatica: una sfida esistenziale
A mio avviso, ma sicuramente sbaglio, dall’articolo di Pallante non trapela la portata dell'urgenza climatica. I dati scientifici sono chiari: la temperatura globale ha già superato di 1,1°C i livelli preindustriali e il rischio di raggiungere la soglia critica di 1,5°C entro il prossimo decennio è elevato, con conseguenze potenzialmente devastanti per gli ecosistemi e le società umane . Questa è una sfida esistenziale che non possiamo più ignorare o trattare con gradualismo. Ogni ritardo nell'adozione di misure drastiche aumenta la probabilità di superare punti di non ritorno, come il collasso delle calotte polari e la perdita irreversibile di biodiversità. Pertanto serve un'azione immediata nella riduzione delle emissioni se vogliamo sopravvivere e non possiamo aspettare di aver cambiato il sistema socio economico. Riduzione delle emissioni che come sottolinea giustamente Pallante non può essere ridotta alla mera transizione energetica ma che ovviamente deve puntare all'abbattimento di tutti gli sprechi e questo apre un capitolo complesso da affrontare in questo contesto sociale.
Inoltre la crisi climatica non è solo una questione ambientale, ma anche etica e sociale. La vulnerabilità delle comunità più povere, che sono spesso le meno responsabili delle emissioni globali di gas serra, evidenzia le ingiustizie che la crisi sta esacerbando. Affrontare il cambiamento climatico significa anche impegnarsi per la giustizia sociale, garantendo che le politiche adottate non colpiscano ingiustamente le fasce più deboli della popolazione.
Il potere delle lobby dei combustibili fossili e la manipolazione delle percezioni
La disinformazione sulle cause e gli effetti del cambiamento climatico, alimentata dalle lobby dei combustibili fossili, ha ostacolato per decenni l’adozione di politiche ambiziose. Questa strategia di manipolazione delle percezioni pubbliche è simile a quella utilizzata dall'industria del tabacco per ritardare le regolamentazioni, e ha contribuito a diffondere l’idea che la crisi climatica sia ancora una questione dibattuta, quando in realtà la comunità scientifica è unanime nel riconoscerne l’origine antropogenica e la gravità .
In una società liquida, caratterizzata da un'individualizzazione crescente e dalla frammentazione sociale, i mass media giocano un ruolo cruciale nell'orientare l'opinione pubblica. Tuttavia, la copertura giornalistica spesso sottovaluta o relativizza l’urgenza della crisi, riducendola a un problema tra i tanti, piuttosto che evidenziarla come una minaccia globale. Questa narrazione, alimentata dagli interessi economici che puntano a mantenere lo status quo, impedisce la formazione di un consenso diffuso per le politiche climatiche più coraggiose. Manipolando la percezione delle persone si mette un tappo sulla possibilità che si formi una vera coscienza critica, senza menzionare poi il fomentare costante di tutti i negazionismi complottisti, danno ulteriore a tutta la società.
La frammentazione del movimento ecologista: il problema dei "cacicchi"
Pallante evidenzia giustamente una realtà preoccupante: la frammentazione del movimento ecologista. Ogni gruppo, partito o associazione tende a perseguire la propria agenda, spesso in modo indipendente e competitivo. Questo fenomeno, che io definisco "cacicchismo ambientalista," impedisce la creazione di un fronte unito in grado di portare avanti le istanze ecologiste con forza e coerenza. La mancanza di sintesi e collaborazione tra i vari attori ecologisti trasmette all'esterno un messaggio di divisione e di mancanza di priorità, limitando l'efficacia delle azioni e la capacità di acquisire consenso politico significativo .
Per superare questa frammentazione, è fondamentale che il movimento ecologista riconosca la necessità di unire le forze per affrontare l'emergenza cercando di fare sintesi ma rimanendo compatto e coordinato. Non si tratta di annullare le diversità interne, ma di subordinare le differenze alla necessità di una strategia comune per la sopravvivenza del pianeta. Il movimento ecologista deve essere in grado di presentarsi come un'alternativa credibile e potente, capace di rappresentare non solo gli interessi ambientali, ma anche le istanze sociali ed economiche di chi è più vulnerabile ai cambiamenti climatici. Forse è proprio da qui che dovremmo cominciare?
Il Buon Vivere e la Via della Sobrietà: un nuovo paradigma, verso un Nuovo Umanesimo Ecologista
Per rispondere alla crisi climatica, entrando nel merito delle proposte, e alle sue implicazioni sociali, è necessario, secondo me, adottare un nuovo modello socio economico basato sul "Buon Vivere" e sulla "via della sobrietà." Il Buon Vivere, ispirato alle filosofie delle culture indigene sudamericane come il buen vivir, propone una visione della vita che va oltre la mera crescita economica e il consumo di massa, privilegiando il benessere collettivo, l'armonia con la natura e la soddisfazione dei bisogni umani in modo sostenibile . Questo approccio si oppone al paradigma dominante che misura il progresso solo attraverso il PIL e il consumo materiale, e si concentra invece su criteri qualitativi come la qualità delle relazioni umane, l'accesso ai servizi essenziali e la salute degli ecosistemi.
La via della sobrietà non è un ritorno a forme di austerità, ma un invito a ridurre il superfluo e a riscoprire il valore delle cose essenziali. Ridurre il consumo inutile e dannoso non significa impoverirsi, ma migliorare la qualità della vita eliminando ciò che non è necessario al benessere reale. La sobrietà implica anche una riorganizzazione delle nostre priorità come società, riconoscendo che la continua rincorsa alla crescita economica a tutti i costi è insostenibile su un pianeta con risorse finite .
Un Nuovo Umanesimo Ecologista, che sottolineo subito a scanso di equivoci non è necessariamente una visione antropocentrica, ma piuttosto un tentativo di andare oltre l'antropocentrismo tradizionale, riformulando il rapporto tra l'essere umano e la natura. Mentre l'antropocentrismo mette l'essere umano al centro, considerando la natura e le altre forme di vita come risorse o mezzi ad uso esclusivo del suo benessere, un Nuovo Umanesimo Ecologista mira a riconoscere l'interdipendenza tra l'essere umano e il resto del mondo naturale ma di questo approfondirò successivamente.
Un Nuovo Umanesimo Ecologista deve quindi integrare questi principi e promuovere una cultura della cura, che metta al centro la dignità umana e il rispetto per la natura. Si tratta di trasformare il nostro sistema di valori, spostando l'enfasi dal possesso di beni materiali alla qualità della vita, dalla competizione alla solidarietà, dall'amore per le cose all'amore per le persone. In questo contesto, il movimento ecologista può contribuire a far emergere un nuovo paradigma culturale che rivaluti il significato di benessere e progresso. Una nuova visione che ci guidi fuori dal questo cul de sac.
La Nazione Umana Universale: verso una società di comunità
Oggi, per la prima volta nella storia, si sta profilando una società planetaria. Siamo sempre più consapevoli dei limiti del nostro mondo e del fatto che viaggiamo nell'universo sconfinato a bordo di questa "astronave" chiamata Terra, protetti soltanto da un sottile strato, l'atmosfera. Per rendere l'idea, se la Terra fosse riproporzionata a due metri di diametro, la sua atmosfera avrebbe uno spessore di appena due millimetri: un leggero velo a cui dobbiamo la vita, ma che trattiamo come se fosse infinito e indistruttibile. Le nuove generazioni, cresciute con la consapevolezza del concetto di Gaia, non possono ignorare questa realtà.
In questo contesto, l’essere umano ha sempre cercato di costruire relazioni e contatti con gli altri popoli, dando impulso alla Mondializzazione, che va distinta dalla Globalizzazione. La Mondializzazione rappresenta un’apertura verso la diversità e la ricchezza culturale, mentre la Globalizzazione tende alla supremazia di una cultura sulle altre, promuovendo un’omologazione forzata e riducendo le barriere per le merci ma ampliandole per le persone, con conseguenti fenomeni di violenza e disumanizzazione.
Il nostro obiettivo, quindi, dovrebbe essere quello di costruire un mondo multiforme: un mondo che celebri la diversità di etnie, lingue e tradizioni; che accolga la varietà di paesi, regioni e comunità locali; che promuova la pluralità di idee e aspirazioni; che rispetti tanto l'ateismo quanto la religiosità; che incoraggi modi di lavorare diversi e la creatività in tutte le sue forme. Un mondo in cui violenza e discriminazione siano bandite.
Riconosco che, in questo attuale contesto geopolitico, le mie parole e aspirazioni possano sembrare utopiche. Tuttavia, la crisi che stiamo vivendo rappresenta un’opportunità unica per ripensare le nostre società e gettare le fondamenta per costruire una "Nazione Umana Universale": una comunità planetaria che riconosca la nostra interdipendenza e lavori per il benessere di tutti gli esseri viventi. Questa visione si distacca dalle divisioni nazionalistiche e dalle logiche economiche orientate al profitto a breve termine, proponendo invece un approccio integrato in cui politiche sociali, economiche e ambientali siano considerate come parti inseparabili di un progetto comune. È questa l’unica direzione mondiale possibile per uscire dallo stallo in cui ci troviamo.
Ricostruire le comunità su queste basi richiede un impegno deciso verso la giustizia ecologica, per affrontare le disuguaglianze globali e promuovere il diritto a un ambiente sano come diritto fondamentale. Le lotte per la giustizia ambientale e sociale devono convergere in un movimento unificato, abbracciando l’idea del Buon Vivere e della sobrietà come fondamenti di un nuovo contratto sociale mondiale. Solo così potremo creare un futuro sostenibile e giusto, affrontando insieme la sfida climatica e costruendo un mondo in cui l’umanità e il pianeta possano prosperare in armonia.
In questo percorso, ci può venire incontro la coscienza del limite tipica delle culture contadine e rurali, che ci ricorda costantemente quanto sia importante armonizzarci con la natura. Al contrario, la vita urbana tende a rappresentare una rottura con questo legame, promuovendo una visione di illimitatezza che governa il mondo moderno. Un ritorno alla ruralità significherebbe riscoprire la consapevolezza del limite, una coscienza che oggi sembra dimenticata da molti. Ma di questo parleremo un’altra volta.
Ma quindi come creare una grande forza ecologista?
Il sistema ha sfruttato a lungo il principio del "dividi et impera" per indebolire movimenti che potrebbero rappresentare una reale alternativa. Se vogliamo rompere questa dinamica sistemica, è necessario fare il primo passo verso l’unificazione. Continuare a stare divisi, ciascuno arroccato nella propria purezza ideologica, non costruisce una forza ecologista ampia e incisiva. La parcellizzazione del movimento ecologista, che spesso considera la frammentazione come un segno di superiorità morale o correttezza, rischia di essere il primo ostacolo alla ricomposizione del quadro politico.
L'ecologismo, infatti, è forse la visione più adatta a guidarci fuori dal cul-de-sac in cui siamo finiti, ma proprio questo mondo è tra i più colpiti dalla frammentazione. L’idea di “agire in purezza” è seducente, ma, come disse Lenin a proposito del comunismo, “l’estremismo è la malattia infantile” della politica rivoluzionaria: allo stesso modo, la parcellizzazione è la malattia infantile dell’ecologismo. Oggi, l’unica strada praticabile è quella di unirci in un’unica grande forza verde emergente, che possa rappresentare un’alternativa credibile e potente. Essere parte di questo processo, anche se non si condivide ogni dettaglio, è il modo migliore per aprire un dibattito reale, ricco e costruttivo, che possa superare l’isolamento e far crescere un movimento ecologista veramente influente.
Se "l' estremismo è la malattia infantile del comunismo" la parcellizzazione lo è dell'ecologismo.
La crisi climatica ci impone un cambiamento radicale, che non può più essere rimandato. Il movimento ecologista deve superare la frammentazione e agire con urgenza, proponendo un modello alternativo basato sul Buon Vivere e la sobrietà. È necessario riconoscere che la nostra civiltà si trova a un bivio: possiamo continuare sulla strada dell'insostenibilità, oppure possiamo costruire un Nuovo Umanesimo Ecologista che metta al centro il rispetto per la vita e la giustizia. Solo attraverso un movimento coeso e una visione condivisa possiamo affrontare questa sfida esistenziale e inaugurare un'era di rinnovamento culturale e sociale per l'intera umanità.
Con questa un caro saluto a chi ancora osa sognare un mondo migliore.
Bibliografia
- IPCC, "Climate Change 2021: The Physical Science Basis," Cambridge University Press, 2021.
- Ripple, W. J., et al. "World Scientists' Warning of a Climate Emergency," BioScience, 70(1), 2020.
- Oreskes, N., & Conway, E. M.